RISIKO BANCHE/ La partita Unicredit-Banco Bpm passa anche da Anima e Amundi
Si avvicina il 20 gennaio, data di insediamento di Trump alla Casa Bianca. Le elezioni americane dello scorso 5 novembre, che si sono concluse con la vittoria del candidato repubblicano, hanno già prodotto effetti sui mercati finanziari. Le reazioni al Trump-bis sono state immediate. Wall Street ha registrato nuovi record, il dollaro ha recuperato molto terreno sulle altre principali valute, i Bitcoin hanno raggiunto massimi storici. Penalizzate invece le Borse europee preoccupate delle misure di deregulation promesse in campagna elettorale. Un differenziale di performance tra due indici di Borsa – quello americano (S&P 500) e quello europeo (Euro Stoxx 50) – che poche volte si è visto nello spazio di così poco tempo.
E nel settore bancario globale? Una reazione mista: un cauto ottimismo negli Usa per una possibile deregolamentazione del sistema finanziario, cautela in Europa tra diverse incognite globali. Negli Stati Uniti, dove molte banche come Citigroup, Bank of America e JPMorgan Chase hanno visto subito un immediato rialzo delle loro azioni con aumenti che hanno superato l’8%, questo risultato elettorale porta con sé una potenziale svolta verso politiche più favorevoli per il settore finanziario, ma anche l’incertezza su possibili effetti a lungo termine per le banche estere, specialmente in Europa.
Per le banche Usa, l’allentamento delle norme Dodd-Frank Act (il nome con cui viene chiamato l’intervento di riforma di Wall Street voluto nel 2010 da Obama in seguito alla Grande Recessione che ha modificato significativamente i meccanismi di regolazione della finanza statunitense allo scopo di migliorare la tutela dei consumatori e stabilire requisiti stringenti su liquidità, capitale e controllo dei rischi) rappresenterebbe un’opportunità di crescita. Queste normative, introdotte per garantire una maggiore stabilità finanziaria e limitare le speculazioni, sono viste da molti come una barriera alla flessibilità operativa e all’innovazione. La possibilità che l’Amministrazione Trump riduca o elimini queste norme ha portato a un’ondata di ottimismo tra gli operatori finanziari, con previsioni di profitti in aumento per il settore bancario statunitense.
Sul fronte europeo, un’ovvia e maggiore prudenza. Gli istituti bancari del Vecchio continente stanno valutando attentamente l’impatto delle potenziali politiche protezionistiche e isolazioniste degli Stati Uniti. Una possibile svolta verso il protezionismo, infatti, potrebbe portare a una riduzione degli scambi internazionali e influenzare negativamente il sistema finanziario globale.
Per le banche europee, il timore è quello di vedere ridotta la loro presenza sul mercato statunitense, con ripercussioni su redditività e competitività, senza dimenticare le fluttuazioni del cambio valutario e l’impatto sul mercato del debito, soprattutto per chi ha esposizioni in dollari. L’aumento dei tassi di interesse potrebbe avere poi effetti sul costo del denaro, mettendo pressione sui bilanci delle banche che operano a livello globale.
In Italia, gli istituti di credito osservano con attenzione questi sviluppi, consapevoli delle ripercussioni che una contrazione dei mercati finanziari globali potrebbe avere sulle economie più deboli dell’area euro.
In sintesi, la vittoria di Trump porterà, presumibilmente, un periodo di cambiamenti significativi e un nuovo equilibrio nel settore bancario internazionale che potrebbe essere riassunto con questi tre punti chiave:
a) Le banche Usa vedono con la presidenza Trump un’opportunità per ridurre le regolamentazioni.
b) Le banche europee temono effetti di possibili politiche protezionistiche e un dollaro più forte.
c) Il settore bancario globale affronta incertezze e opportunità, con strategie diverse tra Usa ed Europa.
Solo il tempo dirà se le promesse e le politiche di Trump saranno realizzate e quale sarà l’impatto sulle banche di tutto il mondo. Nel frattempo, il settore bancario sembra pronto a muoversi con cautela, consapevole dei rischi e delle opportunità di questa nuova fase.
Le recenti analisi predisposte da Mario Draghi, in ambito Ue, hanno evidenziato la necessità di perseguire aggregazioni nel sistema bancario europeo per renderlo più competitivo rispetto all’evoluzione globale. In tale direzione andrebbe, se fosse realizzata, la doppia operazione di UniCredit su Commerzbank e Banco Bpm.
L’anno che è appena iniziato sarà quello del grande risiko che promette, in questo 2025, di tenere banco a lungo a Piazza Affari? Cosa ci possiamo aspettare? Si fa un po’ di fatica a seguire tutti i passaggi e gli eventi. Certamente non ci si annoia, ogni settimana accade qualcosa di nuovo e rilevante che alimenta il gossip finanziario, ma solo a operazioni concluse si potranno trarre conclusioni e formulare giudizi certi e definitivi. Cosi come è al momento non si può dire cosa potrà accadere se nessuna delle due proposte non dovesse realizzarsi.
Ma procediamo con ordine. Sullo sfondo abbiamo due grandi operazioni in Italia e in Germania che possono segnare un nuovo assetto nel sistema bancario europeo rilanciando il progetto di un’Europa unita anche sui mercati finanziari. Al centro, di un po’ di tutto, sta la doppia mossa di UniCredit che dopo Commerzbank ha puntato Banco Bpm. Raramente si è assistito a un duplice fronte di queste dimensioni. Se da un punto di vista finanziario non si vede cosa possa ostacolare l’espansione in Germania dopo l’acquisizione di una quota azionaria di Commerzbank, l’ostacolo, come abbiamo visto, è sempre più di natura politica e i tempi potrebbero prendere anche tutto il 2025. Il Governo tedesco uscente si è dichiarato contrario, seppur dopo aver venduto a UniCredit una quota della banca di cui detiene ancora il 12%. Oggi UniCredit è al 28% del capitale e le elezioni tedesche di fine febbraio, il nuovo esecutivo, potrebbero far slittare tutto ancora più avanti con l’opposizione politica di Berlino che resta un dato importante.
In Italia la partita con Banco Bpm è piuttosto di natura finanziaria. È una battaglia di mercato dove oltre ai due attori principali sono presenti anche altri nomi noti della finanza con pesi e interessi non trascurabili. Ricordiamo che l’operazione si basa su una Offerta pubblica di scambio senza contropartite monetarie, basata su un valore di concambio fra le azioni Banco Bpm (175 UGC per 1000 BPM) che porterebbe a un aumento di capitale e relativa diluizione dell’azionariato nella banca acquirente, con un valore quantificabile di circa 10 miliardi di euro.
È dell’ 8 gennaio la notizia che Banco Bpm si è appellato anche all’Antitrust contro l’Ops di Unicredit per contrastare quella che viene definita una “killer acquisition”, ossia una manovra per eliminare un concorrente e non per aumentare il proprio business, come nelle aggregazioni standard. Una procedura e una tattica identica a quanto fece UniCredit nel 2020 contro Intesa Sanpaolo per l’Ops lanciata su Ubi.
L’offerta predisposta da piazza Gae Aulenti per rafforzare il suo status di seconda potenza bancaria in Italia ha tenuto banco negli ultimi due mesi e rappresenta il dossier più caldo sul tavolo di Andrea Orcel.
Banco Bpm ha già presentato il 17 dicembre anche un esposto alla Consob di improcedibilità dell’Ops per il prezzo basso. L’ Ops che valorizza Piazza Meda 10,1 miliardi ha fatto discutere in quanto, a partire dal Cda di piazza Meda, in molti l’hanno qualificata come inadeguata. Al 10 gennaio il titolo Banco Bpm veleggia in area 7,97 euro, ben al di sopra del valore di concambio proposto da Unicredit. Il mercato già prezza un rilancio implicito di almeno 1,6 miliardi, ma tra gli operatori c’è chi si è spinto a ipotizzare un rialzo ben più cospicuo tra i 3 e i 4 miliardi. Orcel ha difeso con vigore la congruità del prezzo offerto, ritenendo gonfiate le attuali valutazioni di Banco Bpm, ma detto ciò la porta non è affatto chiusa a un rilancio e ogni ragionamento su un possibile rilancio si farà, probabilmente, una volta che si avranno in mano i conti 2024.
Orcel prova a sbloccare lo stallo anche tramite Anima, gruppo del risparmio gestito, su cui Banco Bpm ha lanciato un’Opa del valore di 1,6 miliardi. Anima interessa sicuramente Unicredit che sin da subito ha mostrato apprezzamento. Ma si potrebbe ragionare su qualche concessione visto anche il variegato azionariato che la compone: Banco Bpm (22,38%), Poste (11,95%) e Caltagirone al 5%. Non si esclude che la battaglia tra UniCredit e Banco Bpm trovi in Anima “una camera di compensazione”, in tal senso anche il Governo potrebbe più facilmente trovare dei paletti o chiedere merce di scambio sulla Sgr rispetto al golden power sull’offerta di Unicredit a Bpm che sarebbe ben più complicato. Da monitorare da vicino è anche la questione dell’applicazione o meno del Danish Compromise (una misura che consente alle banche di ridurre l’assorbimento di capitale regolamentare quando acquisiscono partecipazioni in società assicurative) applicato ad Anima, che chiaramente per Banco Bpm significherebbe un maggior impatto sul capitale in caso di mancata applicazione dello “sconto”.
La questione Anima si intreccia con Credit Agricole, che è azionista di piazza Meda al 19,9%, ed è interessata a quello che farà Unicredit su Amundi (che fa capo a Credit Agricole) e ha in essere un accordo di distribuzione con Unicredit che scade nel 2027 e pesa per circa il 20% dell’utile netto di Amundi. Pertanto il potere negoziale di Orcel verso i francesi potrebbe essere molto alto.
Cosa succederà è troppo presto per poterlo sapere…